Viaggiando per l’Italia, è sempre più facile percepire come le Indicazioni Geografiche abbiano davvero plasmato il territorio, creando per turisti (e non solo) le condizioni per una rinnovata offerta enogastronomica, con nuovi spazi ed esperienze. Una trasformazione cui ha contribuito in primis il mondo vitivinicolo: da oltre trent’anni si investe in un modello di impresa che concepisce la cantina non solo come luogo dove il vino si produce, ma dove si può anche conoscerlo ed acquistarlo. Nell’ultimo periodo, si sono aggiunti altri comparti, come quello dell’olio, degli aceti, dei formaggi e dei salumi. Per tale ragione, in Italia non si parla più solo di enoturismo, ma di vero e proprio boom del turismo enogastronomico.
Recenti studi confermano che il patrimonio enogastronomico rappresenta uno degli elementi maggiormente attrattivi per il turismo nel nostro Paese. Una ricerca Ipsos, condotta per Enit nel 2017 in 18 Paesi, evidenzia che “Cibo e Vino” rappresentano il motivo che spinge un turista su due(48%) a fare un viaggio in Italia, insieme a città e opere d’arte.
Ma il driver enogastronomico è prioritario anche per i viaggiatori italiani, come emerge dal Primo Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2018, a cura della professoressa Roberta Garibaldi dell’Università di Bergamo e patrocinato dalla Fondazione Qualivita. Il resoconto, pubblicato all’inizio di quest’anno, descrive in maniera approfondita quello che costituisce un autentico settore economico per il nostro Paese: negli ultimi tre anni, quasi un italiano su tre (30%) ha intrapreso un viaggio con pernottamento per vivere un’esperienza enogastronomica, mentre quasi due turisti su tre (63%) considerano importante l’offerta enogastronomica quando scelgono una destinazione.
Cosa ha realmente contribuito a creare le condizioni per un tale successo? Sicuramente si tratta di un insieme di fattori esterni e interni al sistema produttivo: dalla capacità degli chef italiani di trasformare le materie prime in ricette e piatti apprezzati nel mondo, passando per la presenza massiva dei nostri prodotti tipici nei mercati internazionali, fino all’uso più mirato delle risorse per la promozione. Analizzando meglio la trasformazione e la progressiva apertura al turismo del tessuto imprenditoriale agroalimentare, possiamo affermare che molte iniziative di successo sono state promosse e stimolate dai Consorzi di tutela, in una logica di sistema del territorio.
A proposito del ruolo strategico ricoperto dalle organizzazioni dei produttori delle DOP IGP, in questo numero diConsortium abbiamo raccontato due importanti esempi del Sud. Il primo è quello del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana DOP che, legandosi alla Reggia di Caserta, mette insieme due eccellenze campane ed offre ai turisti un’esperienza a 360 gradi. La seconda, invece, vede protagonisti i Consorzi degli Agrumi Siciliani, che hanno aperto al pubblico aranceti e limoneti con itinerari e degustazioni en plein air.
Nei prossimi numeri, cercheremo di affrontare ancora questo argomento e di mettere in risalto le attività di altri Consorzi. Proveremo a delineare un quadro più completo di un fenomeno che presenta differenti peculiarità a seconda delle zone e dei prodotti, ma che ha un denominatore comune: la capacità di raccontare il prodotto attraverso una matrice culturale, storica e paesaggistica, che rimane la vera impronta originale di ogni territorio.
Le iniziative portate avanti dal settore agricolo invitano a guardare con ottimismo al futuro e dimostrano che esiste un numero crescente di operatori che crede fermamente nel turismo, facendo investimenti importanti con due obiettivi: incrementare le vendite dirette e fidelizzare il cliente mediante un’esperienza nel luogo di produzione.
Una partita in cui il settore italiano delle DOP IGP — con l’unicità di un patrimonio fatto di valori ambientali, culturali e territoriali — ha le carte in regola per essere protagonista, se saprà proseguire il proprio sviluppo in ambito turistico con una logica aggregativa.