La carbonara è una ricetta tradizionale o è un modo di usare gli ingredienti del breakfast britannico per condire la pasta? La domanda, lo sappiamo benissimo, è in grado di suscitare istinti omicidi tra i fan della cucina romanesca, ma in realtà è molto meno peregrina di quanto possa apparire a prima vista. L’unico dato certo è che non esistono ricette di pasta alla carbonara risalenti al prima del secondo dopoguerra. Bisogna quindi partire da qui.
E la storia dei carbonai tra Lazio e Abruzzo che portavano con loro guanciale, pecorino e tenevano qualche gallina per le uova? Storie, per l’appunto, simpatiche leggende, ma nulla più (tra l’altro, perché mai i carbonai, non proprio noti per esseri ricchi, avrebbero sprecato l’albume dell’uovo buttandolo via?).
Una delle varie versioni vuole che la carbonara derivi dalla campana cacio e ova: uovo sbattuto e formaggio per condire la pasta. Ricetta, questa, che si ritrova nel testo base della gastronomia napoletana, La cucina teorico-pratica, di Ippolito Cavalcanti (1839): se si aggiungono guanciale e pepe ecco la carbonara. Sì, certo, tutto bene, ma il nome è altro e la ricetta non è quella.
La versione breakfast, invece, vuole che a monte di tutto stiano i soldati dell’VIII armata britannica che nel 1944 risalivano la penisola italiana lungo il versante adriatico. Uno dei loro comandanti, il generale canadese Eedson Louis Millard Burns, si era sistemato nell’hotel Vienna di Riccione, dove lavorava un cuoco bolognese, Renato Gualandi. È stato lui stesso, ormai ultranovantenne, a raccontare in un’intervista com’era andata in quel lontano giorno di guerra. «I canadesi avevano del bacon fantastico, della crema di latte buonissima, del formaggio e della polvere di rosso d’uovo. Misi tutto insieme e servii a cena questa pasta ai generali e agli ufficiali. All’ultimo momento decisi di mettere del pepe nero che sprigionò un ottimo sapore. Li cucinai abbastanza “bavosetti” e furono conquistati dalla pasta».
In sostanza i militari avevano dato a Gualandi quel che i cuochi del reggimento utilizzavano per preparare la colazione al mattino e lui, invece, ha adoperato i medesimi ingredienti per condirci gli spaghetti alla sera. Un colpo di genio che avrebbe conferito fama imperitura alla pasta italiana mischiata con il tipico breakfast inglese.
Renato Gualandi, che nella sua lunghissima carriera ha cucinato anche per il presidente francese Charles de Gaulle e per la regina d’Olanda – Luigi Carnacina lo aveva definito «uno dei più valenti chef europei» – è morto nel maggio 2016, due mesi dopo aver compiuto 95 anni, senza che mai nessuno abbia smentito la sua versione dei fatti sulla nascita della carbonara, che siano mai stati trovati un documento, una ricetta, in grado di modificare la paternità della carbonara, ormai divenuta una delle specialità che fanno la cucina italiana nel mondo.
Rimane da capire come è perché la carbonara sia transitata da Riccione a Roma, visto che l’VIII armata ha proseguito verso nord lungo l’Adriatico fino a liberare Venezia e ad accogliere la resa degli ultimi tedeschi che resistevano a Trieste.
Una ricetta, quella della carbonara, anomala, molto diversa dai tradizionali modi di condire la pasta. Massimo Alberini, uno dei primi storici della gastronomia in Italia, inorridiva di fronte alle «paste sovraccariche, disarmoniche e indigeste: capostipite, la peggiore di tutte, la carbonara, poveri spaghetti impastati con tuorlo d’uovo crudo, bacon abbrustolito, burro, formaggi», scriveva nel suo Storia della cucina italiana, pubblicato nel 1992. Comunque i fatti avrebbero smentito Alberini: la carbonara piace, tantissimo, a prescindere da chi l’abbia inventata e indipendentemente se sia, o meno, una pasta della tradizione romana.
di Alessandro Marzo Magno
FONTE: http://www.ilsole24ore.com