Il ciclone della crisi economica ha falcidiato, in un decennio, le piccole imprese agricole mentre quelle alimentari hanno resistito meglio, si sono irrobustite e ora producono più valore.
La recessione ha ridotto di quasi il 20% il numero di aziende agricole italiane, mentre per quelle dell’industria alimentare l’emorragia si è limitata al 2,5% tra il 2009 e il 2015, con riduzioni più elevate per le micro imprese (fino a 9 addetti), quelle cioè con una propensione all’export più bassa (7% del fatturato) e che, di conseguenza, hanno risentito in pieno dello scivolone dei consumi interni. Questi ultimi, tra il 2007 e il 2016, sono calati di oltre il 10% a valori costanti.
Settore anticiclico
La crisi ha solo scalfito la tradizione anticiclica dell’agroalimentare italiano: l’export è balzato del 69% nel decennio 2007-2017 e il valore aggiunto di oltre il 10%, contro un calo del 2% del totale manifatturiero.
Per quanto riguarda la redditività, secondo uno studio Nomisma per Agronetwork realizzato su un campione di oltre 5.400 bilanci di imprese di capitale operanti nel settore agricolo ed alimentare (il fatturato cumulato è di quasi 92 miliardi), la redditività – misurata come rapporto tra Ebitda e fatturato – è passata dal 7,8% del 2011 all’8,6% del 2016. Questa si è mantenuta costantemente al di sopra della media del settore manifatturiero.
Brindisi per il vino (L’ALLEGATO: Un settore anti-ciclico)
L’analisi ha inoltre evidenziato come all’interno del settore vi siano stati comparti che hanno sovraperformato. Tra questi figurano il vino (il cui Ebitda margin è passato da 10% a 11,7%) e il dolciario (sempre sopra il 10% nel periodo considerato) mentre carni e lattiero-caseario sono risultati sotto la media.
Marginalità ancora superiori si sono registrate in alcune “nicchie” di mercato: baby & diet food con Ebidta margin vicine al 20%, acqua e bevande analcoliche, spirits, pasta, caffè e thè, prodotti da forno.
Mentre nei comparti tradizionali sono stati i segmenti ad alto valore aggiunto a generare redditività superiori alla media: salumi, gelati e cioccolato-caramelle.
Imprese più solide
Ma quali impatti ha prodotto sulla struttura finanziaria delle imprese agroalimentari il rialzo dei margini? “Le grandi imprese, quelle con fatturato superiore ai 50 milioni, hanno utilizzato l’aumento dei flussi di cassa per fare investimenti, mentre la gran parte delle aziende ha deciso di abbattere l’indebitamento finanziario e accrescere la solidità patrimoniale” risponde Denis Pantini, responsabile dell’area agroalimentare di Nomisma.
Tutto a posto? “No – conclude Pantini -. Innanzitutto serve una maggior presenza sui mercati esteri: oggi solo il 15% delle nostre aziende agroalimentari esporta. Poi non basta limitarsi alla Ue. E’ importante invece puntare sui paesi asiatici, quelli che in futuro cresceranno di più”.
FONTE: www.ilsole24ore.com