È uno dei principali prodotti dell’agricoltura italiana, forse il più celebre, e vanta un fatturato annuo di 3 miliardi. Ma la crisi del pomodoro made in Italy è evidente e il rischio estinzione dagli scaffali del pelato, sostituito sempre più frequentemente dai sughi pronti, è eventualità non remota. “Spolpati”, il terzo rapporto della campagna #FilieraSporca, che da due anni scandaglia i percorsi di alcuni prodotti alimentari italiani alla ricerca delle vere cause della loro crisi, ha trovato le falle di un sistema produttivo ormai obsoleto e facilmente attaccabile dalla criminalità organizzata. Un sistema dominato da sfruttamento e insostenibilità, in cui gli attori della filiera sono spesso in concorrenza tra loro. Ecco le principali scoperte del dossier.
FILIERA SPORCA: ECCO COSA RIVELA IL DOSSIER “SPOLPATI”
DA FIORE ALL’OCCHIELLO A PRODOTTO IN CRISI
Ogni anno nel nostro Paese vengono prodotti circa 5 milioni di tonnellate di pomodori su un’estensione di poco superiore ai 70 mila ettari. Così dicono i numeri, e da qui parte il rapporto delle associazioni: Terra! e DaSud, che dopo aver analizzato il fenomeno del caporalato e la filiera delle arance italiane, si è occupata della crisi del cosiddetto “oro rosso”.
La filiera del pomodoro comincia dalle zone di produzione: principalmente nelle province di Foggia, Caserta e Potenza (distretto sud) e Parma, Piacenza e Ferrara (distretto nord). L’Italia è il terzo trasformatore mondiale dietro a Stati Uniti e Cina, con il 50 per cento della produzione europea. I frutti raccolti vengono per lo più trasformati per essere poi venduti in scatola o in bottiglia sotto forma di pelati, passate o polpe. Il 60 per cento della produzione viene inviato all’estero, il 40 per cento consumato internamente. Il fatturato dell’industria del pomodoro, secondo dati dell’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali, si aggira sui 3 miliardi di euro.
LE CRITICITÀ DELLA FILIERA DEL POMODORO PELATO
Il dossier, effettuato per mesi sul campo nelle principali regioni di produzione del pomodoro, ha provato a mettere in evidenza le criticità della filiera, “un sistema malato – dice il rapporto – che inizia dai campi e prosegue nel trasporto per arrivare all’industria di trasformazione. Il pomodoro pelato è il simbolo più evidente della specificità italiana, perché è un prodotto che cresce solo nel Sud Italia. Nonostante questa unicità, i grandi attori della filiera assistono impotenti ai cali di produzione, determinati a loro avviso “dal mutamento delle abitudini alimentari dei consumatori”.
Fabio Ciconte e Stefano Liberti, autori del dossier, hanno girato mezza Italia per intervistare i lavoratori e toccare con mano un sistema malato: “Se da una parte è vero – dicono – che la velocità dei ritmi moderni rende meno attraente il pelato, è pur vero che la tendenza attuale di diffidenza da parte dei consumatori nei confronti dei prodotti trasformati giocherebbe a favore di un suo rilancio, in quanto prodotto che ha subito una minima trasformazione industriale e ha mantenuto intatto il rapporto con la materia prima da cui origina”. E invece gli ultimi dati dicono il contrario: il pelato è in crisi.
LE ORGANIZZAZIONI DI PRODUTTORI
Oltre alla raccolta a mano, sempre più marginale perché sostituita dalle macchine e comunque compromessa da sfruttamento e caporalato, una criticità importante è secondo il rapporto nelle cosiddette organizzazioni dei produttori: “In gran parte dei casi controllate da ex commercianti, dovrebbero svolgere un ruolo di intermediazione tra la parte agricola e quella industriale. Tuttavia, il contratto concluso ogni anno tra le rappresentanze delle organizzazioni e quelle degli industriali, nel Sud Italia, non ha alcun valore vincolante. È il cosiddetto prezzo di massima”.
Nel Meridione, dove 30mila ettari sono coltivati a pomodoro ed esistono 84 impianti di trasformazione, le o.p. sono 39, contro le 14 del Nord Italia (che ha 26 impianti di trasformazione e una superficie dedicata al pomodoro di 40mila ettari). “L’estrema frammentazione e la loro frequente disconnessione dal mondo agricolo sono uno dei principali ostacoli allo sviluppo di una filiera funzionante, in cui i diversi attori lavorano in un sistema integrato” spiega il dossier. Non a caso la gran parte delle O.P. del Sud ha sede in Campania, dove sono gli impianti di trasformazione, mentre oggi la produzione avviene principalmente tra le province di Foggia e Potenza, tra Puglia e Basilicata. “Il rischio – conclude Spolpati – è che ogni anello della filiera lavori per fregare l’altro”.
LE DIFFERENZE TRA NORD E SUD
Il confronto tra il distretto sud e quello nord, fatto da Filierasporca durante il suo viaggio, non è incoraggiante: “Il Meridione, che ha le maggiori potenzialità, è sempre più in affanno, mentre dalla parte opposta dell’Italia si riesce a gestire adeguatamente il settore”. Il quadro che ne viene fuori parla di un pomodoro pelato italiano sempre più vicino alla trasformazione in una merce standardizzata come le altre, che perde peculiarità e qualità tipiche del luogo di produzione: dalla penisola viene esportato in tutto il mondo, ma nonostante la sua unicità rischia oggi la scomparsa, espulso da un mercato che richiede prodotti semplici e veloci da cucinare e da un distretto produttivo incapace di fare sistema e valorizzare le proprie eccellenze.
E qui entra in ballo anche la grande distribuzione organizzata: nel rapporto viene infatti denunciata anche la pratica consolidata delle aste on-line: si tratta di un meccanismo attraverso il quale la GDO impone all’industria, e di conseguenza agli agricoltori, di comprimere i prezzi, rendendo insostenibile l’intera filiera.
Le soluzioni proposte dal dossier, che come nelle precedenti occasioni ha come obiettivo sensibilizzare al consumo responsabile e all’acquisto consapevole, sono tre:
abolire le aste on-line con il doppio ribasso
riformare il sistema delle organizzazioni di produttori
varare una legge sulla trasparenza basata sull‘etichetta narrante.
Il rapporto di Filierasporca del pomodoro segue quello sulle arance, di cui abbiamo parlato qualche mese fa, ed è strettamente connesso alla questione caporalato. Per approfondire l’argomento, ecco l’articolo dedicato alla nuova legge su questa moderna forma di sfruttamento della manodopera.