ROMA\ aise\ – Cresce l’export e con esso il fenomeno dell’Italian Sounding con il quale si indicano quei prodotti fatti all’estero ma che servendosi di nomi, denominazioni geografiche, immagini, colori e marchi che evocano l’Italia passano per italiani.
Alcuni dati per comprenderne l’entità: oltre 100 miliardi il valore del falso Made in Italy solo per quel che concerne l’agroalimentare nel mondo, con un aumento record del 70% nel corso dell’ultimo decennio (più di 2 prodotti su 3).
Tutto questo ha anche delle pesanti ripercussioni dal punto di vista occupazionale: mancano all’appello oltre 300mila posti di lavoro. Per non parlare poi della concorrenza sleale alle aziende che producono ed esportano prodotti italiani autentici e di qualità.
Quando si pensa alle contraffazioni in genere la mente ai più corre a Paesi come la Cina e in parte anche agli Stati Uniti e al Canada ma il problema è molto più esteso e coinvolge Paesi dell’America Latina, Russia, Paesi del Sud Est Asiatico e pesantemente anche Stati a noi vicini come la Francia, la Germania, il Regno Unito.
La pasta più venduta in Francia e la seconda più venduta in Europa si chiama Panzani, dove non solo il nome, il confezionamento, i colori ma anche la pubblicità con sottofondo di note musiche italiane e la testimonial Ornella Muti, richiamano il nostro Paese.
In realtà è prodotta a Lione (due stabilimenti con 1.300 dipendenti ed esporta in 50 paesi).
Fra i suoi “cavalli di battaglia” la pasta che si cuoce in 3 minuti o addirittura precotta da condire con un sugo in tubetto alle cipolle e aglio, la pizza surgelata e le nove varianti di sugo alla bolognese (meglio non chiedere).
In Germania, con le vinacce usate per lo champagne è nata la grappa Grappagner il cui nome si rifà alla veneta CASTAGNER. Da notare che la Germania è il primo mercato di destinazione di questo distillato, con il 65% dell’export totale.
“The last but not the least” i wine kit che arrivano da Canada e Regno Unito e trovabili nelle più importanti piattaforme e-commerce (Amazon, eBay o Alibaba) per prodursi il finto Brunello, il finto Chianti ecc… Inutile dilungarsi sugli infiniti casi…
Truffa? Direi che si possa definire tale, sicuramente è pubblicità ingannevole da noi perseguita dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Diverse le proposte e le azioni suggerite:
Il MISE (Ministero dello Sviluppo Economico), l’ITA (Italian Trade Agency – Ice Agenzia) e l’Assocamerestero, con l’intento di circoscrivere e combattere questo fenomeno, nell’ambito del progetto “True Italian Taste”, porta avanti un progetto di comunicazione, volto a informare e a sensibilizzare i consumatori. Ma è chiaro che si tratta di un’impresa improba. Altri come il senatore della Lega Gianpaolo Vallardi, da giugno 2018 presidente della Commissione Agricoltura e produzione agroalimentare, puntano su una nuova etichettatura che indichi l’origine degli ingredienti, le informazioni nutrizionali e il confezionamento.
Sicuramente un passo importante considerato soprattutto il fatto che oggi l’Ue permette solo la dicitura “Prodotto in Italia” che di italiano spesso, ha ben poco.
Solo che un simile intervento funziona solo per consumatori che hanno tempo e voglia di leggere tali etichette, per tutti gli altri (che non hanno tempo e voglia) no. Anche la tecnologia tramite app per smartphone viene in soccorso del consumatore che voglia conoscere l’autenticità dei prodotti.
Ma ai limiti sopra menzionati se ne aggiungono altri: ovvero essere in possesso di uno smartphone, essere a conoscenza dell’esistenza di queste app e da ultimo utilizzarle.
Il contrasto è di difficile soluzione considerando anche l’assenza di una specifica normativa nei diversi Paesi, anche europei e il potere sanzionatorio assolutamente inadeguato. Un fortissimo inasprimento e ampliamento delle sanzioni almeno a livello europeo sarebbe sicuramente auspicabile ed uno dei pochi provvedimenti realmente efficaci ma è un obiettivo difficilmente perseguibile con tutti i Paesi dell’eurozona (Francia, Germania e Spagna in primis) volti a difendere le proprie rendite di posizione.
Accordi internazionali al ribasso come il CETA, che contempera appena un settimo delle produzioni Dop, Igp e Stg abbinati alla mancanza di azione e di denuncia di casi di frode alimentare da parte delle autorità italiane (commissario Vytenis Andriukaitis rispondendo ad un’interrogazione dell’eurodeputata veneta della Lega Mara Bizzotto nel novembre 2018) “rendono inevitabilmente le aziende italiane vittime di una concorrenza sleale che si impone sul mercato con prezzi competitivi, ma nessuna garanzia su qualità e sicurezza” (on. Wanda Ferro, Fratelli d’Italia).
Un cambio di passo con il nuovo governo giallo-verde sembra vedersi: “grazie alle misure adottate nel Dl Crescita, i consorzi nazionali avranno un supporto concreto contro chi pratica il così detto ‘italian sounding’… Lo Stato infatti garantirà loro un’agevolazione pari alla metà delle spese sostenute per tutelare in giudizio i prodotti italiani” (on. Filippo Gallinella, presidente del MoVimento 5 Stelle in commissione Agricoltura alla Camera).
È un primo passo vero, concreto, la strada è quella giusta ma occorre fare molto di più perché solo riuscendo a far pagare sanzioni salatissime si può sperare di frenare prima e ridurre poi il fenomeno.
La posta in palio è alta: “La domanda di prodotti italiani è enorme ed è in costante crescita. L’Italia figura al 1°posto come origine di prodotti alimentari esteri più ricercati. Ogni anno 1,2 miliardi di persone nel mondo comprano un prodotto italiano e di questi ben 720 milioni sono consumatori fidelizzati” (fonte: La Rivista). Ne aveva ben donde Checco Zalone nel noto film “Quo vado” a stigmatizzare vichingo il ristoratore di Helsinki che aveva letteralmente stravolto la cucina italiana. (gabriele felice*\ aise)
*Presidente Consorzio SAVE ITALY