Le eccellenze alimentari italiane nel mirino della contraffazione e al centro di frodi sia all’estero che in Italia. Dopo la frode del Parmigiano reggiano prontamente bloccata dal Consorzio di tutela e del finto vino Chianti offerto da 2mila venditori online nel mondo, questa volta è il turno del Prosciutto di Parma e di San Daniele. La minaccia arriverebbe dai territori e dagli operatori della Denominazione (come per il Parmigiano reggiano).
L’ultima parola però spetta ai giudici di Torino che diranno se sarà Prosciuttopoli o meno.
Entro il prossimo giugno infatti gli inquirenti della procura piemontese completeranno le indagini sui falsi prosciutti Dop. E decideranno se chiedere il rinvio a giudizio per una trentina di allevatori (su 3.960 accreditati Dop) operanti in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto ed eventualmente di altri soggetti coinvolti. L’ipotesi di reato è pesantissima: associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio aggravata.
Filiera da tutelare
Al centro delle indagini, uno stock di circa 300mila cosce di suini non conformi ai disciplinari dei Consorzi del Prosciutto di Parma e di San Daniele. Valore, intorno agli 80 milioni. Si tratta solo del 3% della produzione annuale di prosciutti Dop, ma lo scandalo è tale che se non represso tempestivamente rischia di compromettere la credibilità e l’immagine di una filiera di eccellenza che fa della tracciabilità e della qualità l’elemento distintivo. Il disciplinare del Parma consta 50 pagine di norme e quello del San Daniele una settantina.
Nel febbraio del 2017, su iniziativa della Procura della Repubblica di Torino, l’ispettorato centrale di repressione frodi Icqrf ha effettuato decine di perquisizioni in imprese operanti nel settore suinicolo e nella fornitura di materiale genetico agli allevamenti. Sono state effettuate anche intercettazioni ambientali e telefoniche che inchioderebbero diversi allevatori.
Gli allevatori sotto indagine avrebbero fatto ricorso a razze di suini non consentite dal disciplinare, il Duroc danese, che permette crescite veloci e risparmio di mangime.
L’inganno
Come è stato possibile che gli occhi esperti dei trasformatori non abbiano capito l’inganno? “Impossibile riconoscere i verri danesi – assicura Stefano Fanti, direttore generale del Consorzio prosciutto di Parma -. Tanto che l’Icqrf sta conducendo delle indagini sul Dna per individuarli. Peraltro per le imprese quelle cosce sono state le più care della storia, anche perché durante la stagionatura perdono molto peso. Ora hanno chiesto agli allevatori disonesti un risarcimento ma, dato che da questi nessuno compra più nulla, potrebbero anche cessare l’attività”.
Possibile che i salumifici abbiano fatto ricorso ai Duroc danesi per carenza di cosce sul mercato? “Lo escludo – ribatte Fanti -. La produzione annua è di 8 milioni di suini che danno 16 milioni di cosce, sufficienti a soddisfare la domanda di Parma, San Daniele, Zibello e altri ancora”. E negli ultimi anni la domanda in Italia è stata piuttosto debole, generando anche un po’ di sovrapproduzione di cosce”.
di Food24
FONTE: http://www.ilsole24ore.com